Ntarama

Ntarama, 17 Marzo 2014.

Tra pochi giorni, ad Aprile, saranno passati 20 anni dal massacro di Ntarama. La chiesa di mattoni rossi di allora è diventata un memoriale dove sono conservati i resti di coloro che cercarono rifugio tra le sue mura e trovarono invece la morte.
Un cancello verde semiaperto, un piccolo viale che porta alla chiesa. La direttrice ci attende all’ingresso, seduta su una panchina.
L’aria è calda e tranquilla, la vegetazione intorno rigogliosa e di un piacevole verde arricchito dal contrasto con il blue del cielo oggi senza nuvole.
Rari gruppi di persone si incontrano di tanto in tanto lungo la strada di terra rossa che conduce fino a qui. Molte le madri con bambini, a volte qualche giovane. Alcune biciclette fuggono via in discesa, velocissime e pericolose per tutti.

Ci fu un qualche miracolo dentro questa chiesa. Alcuni dei rifugiati riuscirono a salvarsi perchè incoscienti e ricoperti da altri cadaveri. Quando le milizie dell’RPF, il fronte patriottico del Ruanda, iniziarono a rimuovere ciò che restava della chiesa e dei suoi rifugiati, trovarono alcuni ancora vivi e gli diedero soccorso.

Angelique indossa un abito di un viola chiaro, quasi pastello. E’ lungo e la avvolge fino ai piedi. Non dimostra i suoi 52 anni e il suo viso elegante è ancora di una grande bellezza. La postura, il modo di camminare e muoversi lasciano trasparire una calma che non è rassegnazione quanto piuttosto pace ritrovata. I suoi occhi neri, il tono di voce, il modo di relazionarsi con noi parlano di equilibrio e vita che non è stata interrotta da quanto successe 20 anni fa, quando lei di anni ne aveva 32 ed era una giovane madre.

E’ seduta davanti a noi Angelique, all’esterno della chiesa.
La luce morbida del giorno le illumina il viso e la sua figura si staglia sullo sfondo delle mura di mattoni rossi.
Quel giorno Angelique aveva sua figlia con se. Un colpo di macete uccise la piccola e lasciò a lei una profonda ferita sul collo.
La chiesa di fronte alla quale stiamo parlando, custodisce i resti dei suoi due figli, insieme a quelli di altre migliaia.

Parla pacatamente, Angelique, quasi con un filo di voce. Lo sguardo è commosso, non potrebbe essere diversamente, ma non è rabbia quella che si legge nei suoi occhi.
Non riesco a capire, ma si tratta di perdono quello che mi sembre di intuire, la sensazione che ho nel guardarla.
C’è una commozione contenuta e dignitosa, ma non c’è rabbia quando parla, non c’è odio, non c’è la minima traccia di risentimento o di desiderio di vendetta.
Lei, Angelique, è stata in qualche modo miracolata, e per venti anni ha convissuto con il ricordo e il dolore di quei giorni senza lasciarsi andare, continuando a vivere per riprendere a vivere e dare una speranza a se stessa e ad un paese che era sceso nel più profondo degli abissi.

Dopo averla salutata e ringraziata, la guardai allontanarsi lentamente lungo il viale.
Si fermò solo un attimo al cancello, si guardò intorno poi scese in strada e si confuse con gli altri.
Solo le grida dei bambini che giocavano scalzi rimasero a ricordare di come la vita sappia rinascere ogni volta.


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